La Cattedrale nel Deserto

è qui che si difende Il Minitopo

26.4.10

Perché mi è quasi impossibile l’ascolto dei Baustelle? Come mai quei suoni orchestrali e barocchi mi danno la nausea come mangiare un panino su un treno traballante? Il fatto è che di questi tempi, lo scimmiottamento artistoide mette di malumore. Già ci pensa la vita a ricordarti ogni giorno di quanto tutto sia difficile, già viviamo in questo paese di gretti derelitti e dimenticati da dio, ragion per cui, alzare il volume al massimo e perdersi nelle pretese poetiche di Bianconi, mi pare quasi una mancanza senso civico. Ben saldi alla pretesa di far riflettere, i nostri, si sono rinchiusi in una formula pop perfetta che include degli arrangiamenti vecchi come Sanremo. Sdoganati. Più adatti alla monnezza che può produrre Giusy Ferreri che al pop. Tutto così inzuccherato da piacere alla massaia (come cantavano gli Amari di qualche anno fa).


Niente di male sia chiaro, ma c’è una contraddizione di fondo, ovvero che la pretesa della band è quella di parlare di noi, intendendo la nicchia di disagiati figli degli anni ’80, invece parla di loro, gli altri, l’elite colta e snob che affolla gli aperitivi cittadini, poser, teen e hipster che sono il loro pubblico. Nonostante non sia un’ascoltatore dell’hip hop devo ammettere che a noi, dice molta più verità gente come Dargen D’Amico e perfino Noyz Narcos per arrivare agli Uochi Toki e lasciare ben fuori Le Luci della Centrale Elettrica.

Baustelle è roba per l’elite culturale che ha la carta di identità stampata su t shirt sgargianti, che saltella da un party all’altro sfoggiando una noia esistenzialista come una forma di elitarismo. Invece no, non vuol dire nulla. È solo un modo amorfo per continuare a dire che questo paese fa cagare e guardarlo affondare ben saldi al tavolo di un bistrot.

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